mercoledì 21 marzo 2012

La bomba del giorno: coming out e un po´ di sano razzismo




Consiglio parassita nr.75: chiudere la porta del tuo ufficio ti rende un asociale agli occhi dei colleghi, lasciarla aperta ti disturbano. L´equilibrio perfetto non esiste.

Dopo l´ennesima discussione sulla mia provenienza ho deciso di fare coming out per quelli che ancora non l´avevano capito: se parlo italiano ma non sono italiano le possibilitá non sono tante.
Potrei essere figlio di immigrati, averlo imparato a scuola oppure fare parte di una qualche altra nazione in cui si parla italiano, come l´Etiopia, la Somalia o la Svizzera.

Sono nato in Svizzera, al sud delle Alpi, in quella regione mite e soleggiata chiamata Ticino. Fin dalla piú tenera etá gli adulti usavano parole come "Svizzera interna" e "Italia".
Noi eravamo in mezzo.
In mezzo a due culture forti e radicate ci trovavamo a combattere per ricevere rispetto da uno e tolleranza dall´altro. Il clima in famiglia é sempre stato orientato alla fierezza di essere Svizzero: con i miei occhi di bambino vedevo mio padre partire in divisa per i corsi di ripetizione e tornare giorni dopo con la barba lunga. Il primo agosto tutta la famiglia si trovava abbracciata sotto una coperta a guardare i fuochi d´artificio. Il circo Knie, il museo dei trasporti e l´andare a sciare erano obblighi di ogni ticinese. A scuola ci redarguivano se sporcavamo l´italiano con parole dialettali, poiché ogni ticinese impara prima il dialetto e poi l´italiano. Per fortuna la mia generazione cominciava a guardare Mediaset (aveva i cartoni animati piú belli) e il gap linguistico non duró molto.
Avendo parenti in Turgovia vi era ammirazione da ambo le parti: loro avevano fatto fortuna come contadini coltivando acri e acri di terreno e noi vivevamo in un microclima caldo e sereno in cui crescono palme e tabacco.
Con il passare degli anni la mia cultura cresceva e le sfumature si accentuavano: parole come "zucchino", "todesk", "maiaramina", "badola" s´infiltravano tra le fessure della mia innocenza.
I commenti sulla lentezza degli Svizzerotedeschi che da piccolo suonavano divertenti diventavano veritá solidificandosi in fastidi. Guardandomi intorno mi rendevo conto che noi ticinesi eravamo sì fortunati a vivere sulle nostre terre, tra le nostre montagne, ma pagavamo il prezzo di politici scadenti e sottomessi a balivi finanziari che imponevano tanto e aiutavano poco: la famosa "confederella", ovvero il governo con sede a Berna.

Solamente il carattere fiero del popolo impediva una "tedeschizzazione" o "italianizzazione" culturale e ancora oggi questo carattere costruisce barricate psicologiche atte a rinforzare la nostra cultura e le nostre tradizioni, a discapito di quell´apertura mentale che in altri popoli é diventata punto di forza e diventando poco a poco "campanilismo di ritorno". Come un lettore diventa analfabeta, le nuove generazioni sono pilotate a dimenticare il punto di forza del popolo svizzero ovvero il non avere una cultura di formazione propria bensí di prendere il meglio delle altre culture, farlo suo, migliorarlo e creare sinergie con i nuovi alleati.
Ma torniamo al Ticino. Gli svizzeri tedeschi venivano in massa in vacanza e grazie al boom del dopoguerra avevano comprato ville e baite nei posti piú turistici: Ascona, Collina d´Oro e Valle Maggia, e come i loro vicini teutonici non si sognavano minimamente di imparare o almeno accennare a qualche parola in italiano. Ristoranti, bar, hotel si adeguavano al tedesco in segno di ospitalitá. Per questo oggi spesso nei ristoranti ticinesi si viene "attaccati" in tedesco piuttosto che nell´amata lingua autoctona.
Questo fomenta il fastidio, la paura della colonizzazione e la rinascita dell´estrema destra che prende questi episodi per farne lance demagogiche e influenzare le masse di cittadini pecore.

Dopo vent´anni vissuti in Ticino, a contatto con l´una, con l´altra e con tante altre culture (era il periodo della guerra in Bosnia e i rifugiati portavano i tipici problemi d´integrazione tra cui coltelli, parassitismo sociale e tante belle ragazze dai tratti zingareschi) sono andato a studiare in Svizzera Romanda e sorpresa: stessi problemi, stessi fastidi, stessi partiti destroidi che si lamentavano di questo spadroneggiare svizzero tedesco anche a punti piú estremi: mentre la nostra regione aveva come barriera naturale il San Gottardo, tra Svizzera romanda e Svizzera tedesca c´era una barriera invisibile ma invalicabile chiamata "Röstigraben" che determinava da che parte si parlava francese o tedesco e alcune cittá erano culturalmente divise in due (come Morat, Friborgo e Bienne). Le due culture non avevano praticamente contatti e vivevano ignorandosi.

Da bravo ticinesotto dovevo adoperarmi in una scelta ardua: tornare da ingegnere in Ticino, a far la fame in un azienda con colleghi massoni, leccaculo e con un dinamismo tecnologico lento e senza futuro, oppure restare in Svizzera Romanda, a fare la parte dello "Suisse-Spaghettii" o peggio del "ritalien" e cercare di accettare quelle sfumature tradizionali che anche se per poco, creavano una differenza tra le nostre culture.

Mia madre, saggia come sempre, mi buttó lí un opzione: da bravo ingegnere in Svizzera mi sarebbe capitato di sicuro di dover telefonare a Zurigo o a Berna, quindi dovevo migliorare il mio tedesco.
Detto fatto sono partito per la Germania, ma questa é un altra storia.
Ma tornando all´inizio del post, vi é una cosa che ogni uomo di una piccola etnia odia: l´essere paragonato all´etnia vicina, peggio se quest´ultima é deludente o dittatoriale.

Per non far scazzare da subito i lettori italiani, tranquilli, il mio é un razzismo di quelli sani. Ho tanti amici di Modena, Firenze, Milano, Friuli, Terronia e Napoli e lavoro settimanalmente con l´Italia. Loro mi prendono per il culo perché noi Svizzeri siamo tonti e io li prendo per il culo perché hanno votato Berlusconi e il bungabunga punto basta. Quindi mettete da parte la rabbia, non odiatemi, non lasciate commenti liberali che tanto li cancello, leggetevi il resto del post come se foste indiani o australiani.

Ecco quindi che come altre migliaia di volte una collega fa l´errore di darmi dell´italiano.
"Oh, apriti cielo", parlo italiano quindi sono italiano? NO, mi dispiace, sono Svizzero. Ma non Svizzero tedesco di quelli lenti e banali, e neanche di queli francesi che indistintamente sono uguali a un belga o a un canadese. Faccio parte di quella zona al sud delle Alpi, dove tanti di voi saranno andati da piccoli in tenda a prendere il sole nei campeggi e ad arrampicarsi su per le valli.
Si, sono uno Svizzero-Africano (o Afrikaschweizer).

"Sono Svizzero, fiero di esserlo fino al buco del culo e faccio anche parte di una minoranza, i ticinesi, che schiacciati dagli italioti al sud e dai barbari d´oltre Gottardo al nord si sono adattati a essere pochi ma buoni." Penso mentre la guardo a bocca aperta.

Parentesi:
Che poi se voglio dirla tutta essere ticinese in Ticino é una cosa merdosa, ma fare parte della diaspora di emigranti ticinesi in giro per il mondo é un onore: non passa giorno in cui non ricordo i nostri avi che partivano ragazzi a fare i rusca, gli spazzacamini in nord Italia, e un po´ piú grandicelli a vendere marroni in Francia e guadagnare dei bei soldi e tornare in valle con le scarpe nuove.
Anche oggi molti ticinesi scappano poiché il lavoro é poco e piatto e quelli che restano diventano vecchi a 20 anni e ripetono fino alla noia quante sono belle le montagne e ritrovarsi nell´unica bettola del villaggio.
Sono molto negativo verso la mia regione ma non vuol dire che non la amo, piuttosto ne sono un po´ deluso: con tutti i soldi che girano ed il potenziale delle menti che le abitano vengono prese le scelte sbagliate e le mafie di pochi rovinano il futuro di tanti.
Ma sono nato ticinese e alta porto la bandiera della mia razza.
Ho l´auto targata Ticino (a nome di mio padre cosí pago meno assicurazione). Non sono negro o olivastro. Parlo con un accento rotondo e non strascicato come a Napoli ma purtroppo l´ignoranza dilaga e quando un tedesco sente l´accento italiano s´illumina: "defe ezzere per forza italliaaano!".
Chiusa la parentesi.

Al che la collega si placa, e mi domanda perché parlo italiano....non reggo e come parlando a un mongolo gli spiego:
1) che in Svizzera parliamo 4 lingue
2) che il Ticino é in Svizzera e non in Italia
3) che é da 200 anni che siamo Svizzeri
4) che la mia auto ha l´autocollante CH (Confederatio Helvetia o per farli sorridere "Chocolat") e non "I" con la bandierina tricolore incollata al fianco.
5) che la nostra cultura é sí latina, ma non ha niente a che fare con l´Italia
6) che come con tutti i vicini, noi gli italiani li detestiamo per il disordine, la mafia, il voler sempre avere ragione, la vigliaccheria, la disorganizzazione e tanti altri difetti che se comincio finisco come mio cugino che ha tenuto un monologo di 45minuti di critica al bel paese.

A poco a poco la collega ha quasi capito (ma per lei é dura perché nelle sue terre si parla il tedesco e tutti sono teutonici). Per certe razze é difficile capire la mentalitá dei ticinesi, dei conflitti tra valloni e fiamminghi in Belgio, degli attriti fra Corsi e Francesi o fra Baschi e Spagnoli...io e la mia gente li possiamo capire perché li abbiamo vissuti passivamente.

Infine gli dico: "Lako Macciore" e finalmente il suo volto si illumina, cerca nei miei occhi un apertura e con una bocca muccosa mi dice entusiasta: "Desenzano zul Karta!".

Mavaffffffffffffffffffffffffffanculo.



Ritagliatevi la vostra libertá pagata.

P.S.:
In Ticino é bello nascerci e crescere (poca criminalitá,buone scuole, clima mite) ma poi bisogna usare il trampolino culturale e vedere cosa nel resto del mondo.

1 commento:

  1. Un italiano non direbbe mai "comandare" nel significato di ordinare. La tua non italianità era già evidente da questo.

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